Doyle fece morire (e resuscitare) Sherlock Holmes alle cascate di Reichenbach, oggi meta di pellegrinaggio per i fans del famoso detective.
Che si passi da Lugano o si valichi il Sempione, la strada che porta Meiringen, 33 chilometri di lunghezza per una pendenza del 10%, transita obbligatoriamente per il vorticoso Grimselpass, un dedalo di curve che genera vertigini anche solo a guardarlo in lontananza. Alla sommità, fanno bella mostra di sé un lago artificiale e un paio di casette in pietra appese alla roccia che cade verticale sulle acque azzurre. Ambiente bucolico, se non fosse per gli esperimenti sotterranei che si svolgono proprio in quest’area, progetti scientifici che, da decenni, studiano lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Ma passiamo oltre. Parliamo, ad esempio, di Sherlock Holmes…
Meiringen è una cittadina svizzera a soli 35 chilometri di distanza da Interlaken ed è innanzitutto famosa per essere patria delle meringhe, uno dei dolci più conosciuti in tutto il mondo che qui ebbe i suoi natali, nel XVII secolo, grazie all’estro del pasticcere italiano Casparini. Alla “Konditorei Frutiger”, le si possono degustare in tutte le loro più fantasiose varianti. Meiringen, però, è anche e soprattutto celebre per essere stata immortalata in uno dei racconti di Conan Doyle. Qui, infatti, lo scrittore inglese decise di porre fine alla vita del personaggio più acclamato da tutti i suoi lettori: Sherlock Holmes.
Sherlock, una fine teatrale ma non definitiva
Conan Doyle si innamorò delle montagne svizzere e dell’Oberland bernese quando vi si recò, nel 1893, per tenere una serie di conferenze letterarie. Da tempo, lo scrittore meditava di chiudere con il suo amato investigatore: “Sto pensando di uccidere Sherlock Holmes – scriveva due anni prima, in una lettera a sua madre – Mi impedisce di pensare a cose migliori”. Ciò che mancava, però, era il luogo. Doyle lo trovò presso le cascate di Reichenbach, poco distante da Meiringen. Maestose e terribili, queste cascate gli offrirono il quadro perfetto per una morte ideale.
“Il torrente, gonfiato dalla neve in via di scioglimento, precipita in un abisso tremendo, dal quale gli spruzzi risalgono come fumo da una casa che brucia”, scriveva nel racconto L’ultima avventura. Touché! A Meiringen, Holmes ripercorre gli stessi sentieri sui quali si era avventurato il suo stesso ideatore. E qui, si ritrova faccia a faccia con il suo peggior nemico di sempre, il professor Moriarty. I due, dopo un vivido confronto verbale, lottano, perdono l’equilibrio e cadono avvinghiati nella cascata che li inghiotte. Il detective è morto. Watson fatica a farsene una ragione. Ma accetta il corso degli eventi. Non fu lo stesso per editori e lettori. Dopo allettanti proposte finanziarie da parte dei primi e pressanti richieste dai secondi, Conan Doyle riprese la penna in mano. E resuscitò Sherlock Holmes. Disse che l’investigatore aveva volutamente fatto perdere le sue tracce per trascorrere un lungo periodo di ozio e meditazione in giro per il mondo.
Dalla cascata al museo: un percorso narrativo
Per raggiungere le cascate di Reichenbach bisogna percorrere un fresco e lungo sentiero che si inerpica tra i boschi e termina con una piccola balconata dalla quale ammirare il potente getto d’acqua. Un salto di 250 metri che fa trattenere il fiato indipendentemente dalla storia letteraria che rievoca. Una targa inchiodata alla roccia riporta l’episodio che Conan Doyle narra nel suo racconto, mentre la stella a fianco indica il punto esatto della caduta di Sherlock Holmes e del professor Moriarty.
Il Museo di Sherlock Holmes si rifà, in parte, a quello di Baker Street, a Londra. Si tratta di una capillare ricostruzione dell’ambiente in cui il detective lavorava, pensava, suonava, si intratteneva con gli ospiti o si dilettava in strampalati passatempi. La stanza è rivestita da una tappezzeria floreale rossa ed è arredata con mobili ottocenteschi tutto broccati, velluti e porcellane. I tappeti persiani sul pavimento completano la calda atmosfera inglese, la stessa che si respirava a quei tempi. Infine gli oggetti: una cacofonia di strumenti di cui è impossibile tenere il conto. Strumenti di lavoro e di svago che delineano il profilo del personaggio senza cadere nell’ovvio o nel kitsch. Si potrebbe stare ad ammirare questo salotto per ore e uscire dal museo senza comunque essere riusciti a vedere tutto ciò che vi è contenuto.