L’oasi di Khiva è il primo approdo sicuro delle carovane in Asia centrale che, da mille anni, affascina i viaggiatori con i suoi minareti
Ottomila chilometri, da percorrere un po’ in nave, moltissimi a piedi, qualcuno a cavallo o a dorso di cammello. La Via della Seta, con le sue carovane, in cammino dall’Europa verso la Cina, è forse il sogno che anima l’immaginario di ogni viaggiatore. In antichità, era il viaggio per eccellenza: aveva fra le steppe dell’Asia centrale la sua parte più insidiosa, e Khiva era la sua meta più desiderata.
Arrivare a Khiva voleva dire mettere da parte le desertiche lande del Karakum e del Kyzylkum, gli stenti, le fatiche e il rischio di essere assaliti dai turcomanni: per le carovane, arrivare qui era la salvezza. L’acqua di Khiva, a quanto pare, rendeva questa città “l’oasi più dolce fra i deserti”. O forse, era solo l’effetto della stanchezza. Di sicuro, Khiva era per gli europei il primo assaggio delle magnificenze dell’Asia.
La Moschea Juma
All’interno della Itchan-Kala, la sua cittadella fortificata oggi patrimonio Unesco, le carovane trovavano alloggio sicuro nel caravan-serail Alla-Kuli-Khan e gli occhi dei viaggiatori brillavano osservandone i meravigliosi monumenti. Una scena che si è ripetuta uguale fino all’Ottocento. Silenzio e soggezione doveva incutere la foresta di 212 colonne di legno di olmo che sorregge il soffitto della Moschea Juma, così detta perchè il Khan amava leggervi in silenzio durante le preghiere del venerdì (Juma).
La storia del minareto Kalta Minor
Fu invece un potente funzionario e ministro del khanato di Khiva, tale Setid Islam Khodja, a far costruire il complesso che poi prese il suo nome, composto dalla più piccola Madrasa e dal più alto minareto di Khiva. Qui l’accesso agli stranieri e alle loro carovane, però, era proibito. Potevano solo ammirare, da fuori, il meraviglioso Kalta-minor Minaret (minareto corto), rimasto incompiuto dopo mille vicissitudini. Nelle intenzioni del Khan di Khiva, Muhammad Amine, doveva essere il più alto e il più maestoso della città: interamente decorato a maioliche, la sua base ha un diametro di 14,2 metri. Purtroppo, però, il Khan morì improvvisamente e a quel punto ci fu una pausa nei lavori.
Della pausa approfittó l’emiro di Bokhara che contattó e corruppe l’architetto per farsi progettare un minareto simile, ma più grande, da realizzare nella sua capitale. Purtroppo, però, il tradimento dell’architetto fu scoperto e il poveraccio condannato a morte e precipitato con esecuzione pubblica dalla cima del minareto stesso. Si decise così di lasciare il minareto incompiuto e di apporre una scritta all’ingresso: “Questa meravigliosa costruzione starà qui per sempre portando gioia a chi verrà dopo”. Lo fa ancora oggi: anche se le carovane non ci sono più, Khiva è sempre una città magica