Palmira, la “sposa del deserto” stuprata dai talebani

Palmira, città della Siria tra le più antiche al mondo che l’ISIS ha quasi raso al suolo, con tutti i suoi tesori. Com’era prima e cosa resta oggi?

Non ho mai sopportato i talebani. Non li ho mai tollerati già da prima che diventassero una minaccia per il resto del mondo: non li ho mai sopportati sin da quando nel 2001 distrussero i buddha di pietra di Bamiyan, dando prova di una impressionante e pericolosa violenza culturale, prima ancora che fisica.
E credo che nessuno potrà mai perdonarli, per quanto hanno fatto al sito di Palmira.
Sono stato a Palmira nel 2008, e avevo subito sperato di poterci tornare. Una delle città più antiche del mondo, base carovaniera per gli assiri, piazzaforte per i greci, poi mitica capitale del regno della regina Zenobia, con il nome di Tadmor. A ribattezzarla Palmyra (con la y) furono i romani, quando nel III secolo scacciarono Zenobia e diventarono sovrani della città, che successivamente diventò prima bizantina e poi araba. Ma anche nel susseguirsi delle civiltà e delle guerre, tutti i sovrani avevano rispettato Palmira, incantati dalla sua bellezza, che le valeva l’appellativo di “Sposa del deserto”. Una sposa, purtroppo, stuprata dall’ISIS e ridotta in ginocchio.

C’era una volta un’oasi

Situata in un’oasi, a 240 chilometri a Nord Est di Damasco, Palmira deve il suo nome alle palme, che da tempi immemorabili ingentiliscono quest’area circondata dal deserto (anche il nome “Tadmor” significava “palma“, in aramaico, e pare che fosse stato scelto dallo stesso Re Salomone). Una volta, vicino all’oasi c’era anche una fonte sulfurea (sappiamo che ai romani le Terme piacevano molto), che nei secoli si era inaridita, ma gli abitanti del luogo, con un complesso sistema di canali, erano riusciti a mantenere viva l’oasi, e la città, che si era poi spostata dall’antico sito di Palmira di circa un chilometro, raggiungendo i 70.000 abitanti.

Sin dalla notte dei tempi…

Già citata in papiri dei 2000 a.C., Palmira è spesso nominata negli archivi assiri, e viene citata anche nella Bibbia (Secondo libro delle Cronache, 8.4) dove si parla di “città del deserto fortificata da Salomone”.
Attraversati venti secoli, Palmira visse il suo massimo splendore sotto la regina Zenobia (una statua che la ritrae, fortunatamente prelevata dal sito prima dell’arrivo dei talebani, è ancora visibile al Museo Nazionale di Damasco), che riuscì, grazie anche all’abilità del suo generale Zabdas, a farne la capitale di un territorio che andava dall’Anatolia fino ad Alessandria d’Egitto e Assuan. I romani però misero fine al suo dominio nel 272.
Per secoli greci, romani e arabi arricchirono la città con meravigliose opere d’arte, miracolosamente conservate fino a pochi anni pressoché intatte, grazie al clima secco del deserto.

La via colonnata

Entrando nel sito di Palmira mi colpì particolarmente la via colonnata, lunga oltre un chilometro, che nel 2008 era ancora percorribile in auto (!), a velocità ridotta, ma nello stesso modo in cui potevano percorrerla gli antichi romani su carri o cavalli. La carreggiata era larga 11 metri, e su alcune colonne erano ancora visibili le mensole dove dovevano essere collocate delle statue.
Le colonne cominciavano presso un tempio (il tempio di Baal, risalente addirittura al dominio dei Parti, che era ancora interamente in piedi nel 2008, e fu fatto saltare dai talebani nel 2015), e finiva presso un arco monumentale a tre arcate, fatto costruire, pare, da Settimio Severo, verso la fine del II secolo e anch’esso distrutto dall’azione dell’ISIS. Alcuni suoi pezzi pare siano stati venduti a collezionisti attraverso il mercato nero internazionale.

Palmyra

I templi

Oltre al tempio di Baal, erano ancora integri e visitabili il Tempio di Baalshamin (divinità considerata il signore dei cieli, poi intitolato a Mercurio e quindi trasformato in una chiesa, e per questo fatto esplodere per primo dall’ISIS il 23 agosto 2015). Poco oltre l’arco di Settimio Sevrero c’era quindi il tempio di Nabu, intitolato a una divinità della Mesopotamia, realizzato sotto il regno di Zenobia. Ne rimanevano due ordini di colonne, un cortile interno e una facciata. C’era infine il Tetrapylon, eretto sotto l’impero di Diocleziano, e esploso nel 2017, quando i talebani fecero terra bruciata del poco che era rimasto, prima che la città fosse liberata dalle truppe siriane.

Il teatro…e tutto il resto

Il pezzo forte del sito di Palmira però era il teatro romano. Risaliva al II secolo, ed era in condizioni magnifiche, tanto da essere ancora utilizzato per rappresentazioni nella moderna Palmira. Il palcoscenico, lungo 45 metri, era accessibile da due scalinate e il proscenio era arricchito da colonne corinzie. I talebani ne hanno fatto esplodere la facciata. Ma potrei andare avanti, con l’agorà e il senato, con il Campo e le Terme di Diocleziano, con le antiche mura del III secolo e la vicina necropoli ed un Castello Medievale posto sull’altura che domina la città. E’ difficile descrivere quanta bellezza e quanta storia fosse racchiusa in così poco spazio.

Il teatro romano

Recuperare Palmira

Scacciati i talebani, archeologi e studiosi sono al lavoro da tre anni per cercare in qualche modo di riparare il sito di Palmira. Ma sarà dura. Il tempio di Baal è perduto per sempre. L’agorà e le mura invece sono quasi intatte, il teatro si potrà riparare, e si spera di poter salvare anche l’Arco di Trionfo, anche se ci vorranno decenni per rimettere in piedi Palmira.
Il sito di Palmira, che resta comunque interessante nonostante la devastazione, è stato riaperto all’inizio del 2019. L’Unesco ha avviato già prima della pandemia, una serie di opere di restauro e recupero adeguatamente finanziate.
Per farvi un’idea dei danni riportati da Palmira, questo link è molto indicativo: https://tg24.sky.it/mondo/2016/04/02/Palmira_prima_dopo_monumenti_distrutti_foto#5

L’idea dei modelli 3D

A Roma, dal 7 ottobre all’11 dicembre 2016, mentre l’area era ancora nelle mani dei Talebani, sono stati esposti alcuni dei reperti monumentali distrutti nel sito di Palmira e ricostruiti in scala 1:1 in Italia, con la mostra “Rinascere dalle distruzioni”. Si tratta del Toro antropomorfo di Nimrud, del soffitto del tempio di Baal e di una delle sale dell’archivio di Stato del Palazzo di Ebla. In quella occasione l’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, aveva suggerito di ricostruire Palmira con le stampanti 3D. «[…] andremo a ricostruire quanto è stato distrutto. L’Italia è già pronta per far tornare Palmira al suo antico splendore».
L’idea di Rutelli è stata raccolta dall’Ermitage, dove è stato realizzato un modello tridimensionale dell’antica Palmira in scala 1:300, realizzato con stampanti 3D.
Inoltre, l’Istituto per la storia della cultura materiale dell’Accademia delle Scienze russa (IIMK RAS) ha completato i lavori per la creazione di un modello 3D unico dell’antica Palmyra (lo trovate qui: http://palmyra-3d.online), che è stato ora sottoposto al Dipartimento di Antichità e Musei della Repubblica Araba Siriana per la possibilità di restauro in futuro con l’aiuto di nuove tecnologie.

Geolocalizzazione di Palmira

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