Il Vasa è il più grande e meglio conservato vascello di legno della storia, orgoglio della flotta svedese esposto nell’omonimo museo a Stoccolma.
Mio padre me lo ha sempre detto: “Ad ognuno il suo mestiere”. E a pensarci sembra talmente ovvio… Invece, un viaggio può insegnarci che non è sempre stato così. Sono a Stoccolma, vicino allo Skansen, e sto per entrare in una costruzione a metà fra l’avveniristico e il retrò: da fuori non è bellissimo, sembra un capannone arricchito da una serie di stanze esterne aggiunte alla rinfusa. Ma dal tetto spuntano tre alberature da vascello. Siamo al Vasamuseet, dove è custodito il Vasa, il più grande e antico vascello di legno della storia, e anche il meglio conservato (è originale al 98%). Orgoglio della flotta svedese, che all’epoca era una fra le più potenti e temute al mondo, colò a picco durante il varo inaugurale, il 10 agosto 1628.
Mentre cammino sul percorso guidato per ammirarlo da ogni angolazione, dal timone di poppa alla cima della coffa, osservo uno a uno i fregi incisi nel legno di rovere, che nel tempo hanno perso la vernice dorata ma non la loro bellezza, e mi perdo nei disegni del sartiame (ricostruito con le stesse tecniche dell’epoca e dunque uguale a quello realizzato dai mastri artigiani del Seicento), mentre ascolto la storia tragicomica del vascello. Entrando nel museo, il vascello si propone in tutta la sua magnificenza: è semplicemente enorme, più di quello che le foto possano mostrare: alto 52 metri dalla sommità alla chiglia, lungo 69 metri con una stazza di 1200 tonnellate, dotato di tre alberi concepiti per essere equipaggiati da 10 vele ed armato di 64 cannoni in bronzo. Tutto nasce dalla vanagloria di re Gustavo II Adolfo Vasa, che nel 1626 ordina ai cantieri navali di Stoccolma la costruzione una colossale nave da guerra, che fosse più grande della leggendaria Mars, già in forza alla marina svedese dal 1563.
Una disgraziata serie di complicazioni
I mastri carpentieri svedesi avevano ampie conoscenze nel campo della costruzione navale, ma l’allestimento del vascello fu afflitto da tutta una serie di complicazioni. Appena il tempo di impostare la chiglia ed il re, venuto a conoscenza da suoi diplomatici, che altre potenze straniere stavano lavorando su un progetto analogo, fece pressioni per modificare la nave, allungandola e alzandola sensibilmente. Poco dopo, il mastro carpentiere supervisore del cantiere morì improvvisamente e, come si usava all’epoca, lasciò i piani di costruzione agli apprendisti, al fratello e alla vedova: nessuno di loro aveva sufficiente esperienza, né una posizione per opporsi alle richieste del re, che volle aggiungere al progetto anche un secondo ponte di cannoni, che faceva del Vasa la nave più pesantemente armata dell’epoca, ma anche una nave sovraccarica, troppo alta rispetto alla larghezza, con un baricentro fortemente instabile.
I nodi vennero al pettine al momento del collaudo: il protocollo dell’epoca prevedeva di far salire contemporaneamente 30 marinai sullo scafo e farli correre tutti insieme da un lato all’altro della nave per verificare la stabilità. Durante il collaudo, alla presenza dell’ammiraglio Clas Fleming, la nave oscilla pericolosamente e la prova viene fermata. Ma mentre ancora si sta pensando a cosa raccontare al re, ecco che al cantiere arriva una bella lettera di Gustavo II Adolfo che fa sapere voler procedere al varo quanto prima. La nave viene dichiarata pronta.
Il giorno del varo
Si arriva così al giorno del varo. Il Vasa prima viene equipaggiato, portando al suo interno tonnellate di quadri, arredi, vasellame, cristallerie, come voluto espressamente dal re, al punto che il livello di immersione dello scafo è pericolosamente vicino ai portelloni dei cannoni. Finalmente, si procede: il Vasa issa le vele e prende il mare per un viaggio inaugurale. Poche miglia marine, nelle tranquille acque dell’arcipelago di Stoccolma, costeggiando alcune delle sue 24.000 isole. Ha appena superato Gamla Stan quando un colpo di vento improvviso lo inclina di quasi trenta gradi. La bravura del timoniere riesce a rimediare alla situazione: la nave torna dritta, ma una seconda raffica la corica nuovamente e stavolta l’acqua comincia a entrare dai boccaporti dei cannoni. In pochi minuti cola a picco, trascinando sul fondo almeno 30 dei 150 uomini di equipaggio.
Come si usa in questi casi, il re istituirà una commissione d’inchiesta, che non porterà a nulla. Un diplomatico francese, avendo cercato di informarsi da un collega svedese pare abbia ottenuto questa risposta: “Perché il Vasa si inabissò? Solo Dio può saperlo. …O chissà, magari anche il re”.
Il difficile recupero
Anche se alcuni cannoni saranno recuperati già pochi anni dopo grazie a una tecnica inventata dall’italiano Francesco Negri, il Vasa resterà sul fondo dell’arcipelago per 333 anni, fino al 1961. Sarà riportato a galla miracolosamente integro, soprattutto perché l’acqua dell’arcipelago, molto fredda e povera di sale, non permette la diffusione della teredine, il verme del legno che di solito decompone gli scafi. Ora, al Vasamuseet, tutti possono vederlo, apprezzare la grande qualità della sua fattura, e riflettere sul vecchio detto “ad ognuno il suo mestiere…”.